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mercoledì 31 ottobre 2012

Espandere la Mappa



Sei giorni all’ora della verità e apparentemente le carte non sono mai state così confuse.
Il devastante passaggio dell’uragano Sandy sulla costa ovest non ha lasciato senza luce solo qualche decina di milioni di persone, ma ha mandato in black out anche i sondaggi che da un paio di giorni ormai escono con il contagocce (l'ultimo Rasmussen di un'ora fa dà Romney avanti 49 a 47).
Con quaranta americani morti sotto le macerie ovviamente né i candidati né i loro staff parlano delle possibili ripercussioni della catastrofe sulla corsa presidenziale, ma state certi che, discorsi ufficiali a parte, ci pensano.
La verità è che, se ripercussioni ci saranno, è difficile prevedere in che direzione: c’è chi dice che aiuteranno Obama dandogli l’occasione di mostrarsi presidenziale e “al comando” della nazione, altri invece fanno notare che in alcuni stati della costa est il passaggio di Sandy ha bloccato, o quantomeno rallentato, il processo di voto in anticipo (early voting).

Perché in America l’election day è anche oggi, come lo era ieri o due settimane fa. In molti stati è già da tempo possibile recarsi al seggio elettorale e si prevede che all’alba del 6 Novembre non meno del 30% del totale dei partecioanti avrà già votato in anticipo.
Storicamente l’early voting è un territorio di caccia democratico: nel 2008 secondo Gallup Obama staccò McCain di ben 15 punti tra i votanti in anticipo (55 a 40), ed è quindi naturale assumere che ogni intoppo o ritardo nel meccanismo dell’early voting impatti più pesantemente sul campo democratico che in quello repubblicano. O almeno così ci si aspetta che sia negli stati in bilico come l’Ohio, mentre globalmente la dinamica quest’anno potrebbe essere sostanzialmente diversa da quella di quattro anni fa.
Sempre Gallup infatti prevede che a livello nazionale il processo di voto anticipato potrebbe quest’anno chiudersi in pareggio (49 a 49) dando Romney addirittura in vantaggio (52 a 46) tra quelli che avevano già votato il 28 ottobre.
Numeri quasi troppo belli per essere veri, quindi da prendere con le molle, ma che se fossero confermati sarebbero una gran bella notizia per il candidato repubblicano.

I dati reali disponibili sull’early voting sono frammentari e poco dettagliati, tanto che entrambi i campi possono utilizzarli per cantare vittoria: i democratici sostengono di essere in vantaggio negli stati che contano, i repubblicani rispondono che quel vantaggio è ridotto all’osso rispetto a quattro anni fa. Se questo sarà o meno sufficiente a cambiare il risultato finale degli stati in questione lo vedremo.

Nel frattempo la strategia di Romney in questa ultima settimana di campagna elettorale è quella di espandere la mappa cercando di mettere in gioco stati considerati solidamente democratici.
Così si spiega la decisione della macchina elettorale repubblicana di acquistare spazi pubblicitari in mercati “vergini” come la Pennsylvania e il Minnesota.
La Pennsylvania manda in bianco i repubblicani ininterrottamente dal 1992, George W. Bush provò seriamente a portarla nella sua colonnina sia nel 2000 che nel 2004 senza mai riuscirci. Per ritrovare un Minnesota colorato di rosso invece non basta nemmeno risalire a Reagan, bisogna arrivare ai tempi della valanga di Nixon (1972). Improbabile che Romney riesca davvero a spuntarla da quelle parti ma il fatto stesso che ci provi è comunque un segnale.

In casa democratica si cerca di paragonare la mossa di Romney a quella disperata di McCain 2008 che  vedendosi ormai sconfitto su tutti i fronti, tentò la carta a sorpresa facendosi vedere proprio in Pennsylvania nelle ultime ore prima dell’election day.
La differenza non sta tanto nell’azione, quanto nella reazione: giusto in queste ore la macchina elettorale obamiana ha acquistato qualche milione di dollari in spazi pubblicitari proprio in Pennsylvania, inserendo il Keystone State nel programma di viaggio di Joe Biden (ci farà tappa domani), mentre in Minnesota è previsto addirittura l’arrivo di Bill Clinton. Mosse di copertura in un certo senso “obbligate”, ma anche il segno che quegli stati non vengono più considerati del tutto sicuri.

A ridosso del 6 Novembre e con le bocce tenute forzatamente ferme per giorni la cosa più preziosa per entrambe le campagne è il tempo, ogni minuto passato in Pennsylvania e Minnesota è un minuto in meno da spendere dove conta davvero e nessuno lo fa senza motivo. Ma, indipendentemente dalle reali possibilità di Romney di essere competitivo in questi Blue States, indurre l’avversario a dirottare tempo, soldi e energie qua e là sulla mappa elettorale è un’altra delle strategie per provare a vincere quella gigantesca partita a scacchi che sono le presidenziali americane.

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3 commenti:

  1. A me non sembra assolutamente una strategia geniale;a meno che sia stata indotta dall'uragano Sandy.

    Frank77

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  2. Dipende da quanto costa a te e da quanto pensi possa costare al tuo avversario.
    A pochi giorni dal voto se hai le casse ancora belle piene il tempo vale più dei soldi. Se i soldi spesi in spot servono a far spendere tempo sul campo al tuo avversario il saldo può essere in attivo.
    Se Romney pianificasse un rally a Pittsburgh per il week end sarei d'accordo con te.
    E poi c'è l'aspetto psicologico: attaccare un blue state può dare a chi guarda l'impressione di un consenso crescente e più sembri "vincente" più hai probabilità di vincere. Lì come qui il carro del vincitore sembra sempre il più comodo su cui salire.

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  3. Pare che ci abbiano sentiti, sembra che Romney sarà in Pennsylvania domenica. Se ne parla qui domani mattina.

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