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martedì 23 ottobre 2012

Hope and Change



Nel mezzo di una crisi chi volete che risponda al telefono della Casa Bianca alle 3 del mattino?” il dibattito di stanotte in Florida doveva aiutare gli americani a rispondere a questa domanda per scegliere il loro comandante in capo per i prossimi quattro anni. E’ un test che tutti gli inquilini della Casa Bianca hanno dovuto passare.

Nel caos di sondaggi a tinte alterne non è facile stabilire con certezza chi sia in testa oggi, ma sono bastati dieci minuti di dibattito per capire chi sentiva di dover rincorrere.
Romney aveva chiaramente deciso di volare alto stanotte: niente polemiche, niente battibecchi. Apparire presidenziale era l’obiettivo e per perseguirlo ha sacrificato (a sorpresa, e con il probabile disappunto di molti) la polemica sulla Libia, sorvolando completamente sulla domanda iniziale che sembrava un invito a nozze per rifarsi dell’incidente del dibattito di New York.
D’altra parte Obama ha infilato un attacco diretto a Romney in ogni singola risposta data in 90 minuti di dibattito, tanto che il suo avversario per ben due volte gli ha ricordato che “attaccare me non è un’agenda politica”.

Sul medio oriente, sulla Siria, sull’Afghanistan, sull’Iran, Romney ha fatto diligentemente il suo lavoro: risposte sensate e nessuno scivolone, ma Obama era chiaramente più padrone della materia dopo quattro anni passati nello Studio Ovale. Dava quasi sempre l’impressione che gli restasse più di una cosa da dire quando i suoi due minuti canonici scadevano, raramente si poteva dire lo stesso del suo avversario che ha finito per dargli ragione qualche volta più del dovuto.

Ma nessuno dei due sfidanti intendeva passare un’ora e mezzo a parlare solo di cose che succedono fuori dai confini dell’America e quando Romney ha indicato il debito pubblico come la più grande minaccia per la  sicurezza nazionale degli USA, spostando i riflettori sull’economia, entrambi ci si sono fiondati senza mollare l’osso per almeno dieci minuti. Da quel momento ogni scusa è stata buona per mettere da parte il medio oriente e parlare di cose che riguardano più da vicino il futuro di chi stava ad ascoltare.
E sull’economia è stata un’altra musica: che si parlasse di deficit o di rilancio delle imprese era Romney a dare l’impressione di avere sempre una cosa in più da dire.
Come rendere l’America più sicura e rispettata all’estero? Rafforzando la sua economia. Come trovare i soldi per evitare i tagli all’esercito? Facendo piazza pulita dei programmi che servono solo a svuotare le casse, primo della lista: Obamacare.

Tirando le somme: Romney sulla politica estera ha badato a non prenderle, non ha tentato il tiro da tre punti su un campo in cui il suo avversario si muoveva  meglio di lui, ma ha avuto il suo  momento quando ha rinfacciato al presidente il suo “apology tour” di inizio mandato “L’America non si comporta da dittatore con le altre nazioni, l’America libera dai dittatori le altre nazioni”.  
Ha assicurato agli americani di non avere guerre in agenda. Come Reagan nel 1980 si è tolto di dosso lo stereotipo del repubblicano a cui piace giocare a Risiko con il mondo e ha passato il test da comandante in capo.

Obama ha giocato un’altra partita. Se sia o meno in svantaggio ce lo diranno con certezza solo le urne, di sicuro si è comportato come se lo fosse. Tra un attacco e l’altro, quando era costretto ad ascoltare il suo sfidante, lo guardava come se fosse infastidito dal fatto stesso che fosse lì. E’ stato più aggressivo, più deciso. Efficace ma meno presidenziale.
Alla battuta iniziale di Romneyci siamo visti pochi giorni fa in un contesto umoristico, magari stasera uno di noi farà ridere senza volerlo” il presidente ha abbozzato un sorriso di etichetta  totalmente diverso dalla risata a 48 denti esibita nei primi secondi del dibattito inaugurale di Denver, quando Romney aveva scherzato sul suo anniversario. Chi aveva occhi per vedere in quel momento ha potuto misurare quanto questa gara sia cambiata negli ultimi venti giorni.

Obama ha vinto sulla politica estera, che era il tema del giorno (l’instant poll della CNN gli assegna la vittoria per 48 a 40, un distacco all’interno del margine d’errore, mentre la CBS parla di una vittoria più netta), ma Romney ha segnato ancora sull’economia, che è quello che più di ogni altra cosa importa (e importerà) a chi stava guardando. Nel suo appello finale Romney ha parlato di ottimismo, di un futuro diverso e più prospero e l’ha fatto con l’espressione di chi ci crede, anche se chiaramente stava recitando un copione provato e riprovato. La fiducia nel futuro dell’America era mancata in questa campagna elettorale. Romney l’ha messa al centro del palcoscenico nel momento in cui c’erano più occhi a fissarlo e il suo avversario non aveva più battute. Quattro anni dopo “Hope and Change” sono tornati, ma stavolta parlano repubblicano.


Edit: Altro instant poll della PPP (di dichiarato orientamento democratico): Obama vince 53 a 42. Ma tra gli indipendenti Romney porta a casa un +12 (47 a 35) sulla domanda più importante "questo dibattito ha reso più o meno probabile che tu voti per Romney?", mentre Obama sullo stesso quesito incassa un -16 (32 a 48) e questo malgrado lo stesso sondaggio lo veda vincitore tra gli indipendenti con 15 punti di margine (55 a 40). E' l'effetto economia o forse semplicemente a questi instant poll si finisce per dare più peso del dovuto.

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