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lunedì 5 novembre 2012

48 Hours




Ancora due giorni. A meno di imbuti tipo Florida 2000  tra 48 ore sapremo chi siederà per i prossimi quattro anni alla Resolute Desk, nello Studio Ovale della Casa Bianca.

Domani, quando qui sarà più o meno ora di pranzo, i primi seggi della costa est apriranno i battenti e vedranno entrare e uscire circa 100 milioni di persone in poco più di 12 ore.
Migliaia saranno invece quelle che fuori dai seggi si spenderanno per convincere l’ultimo amico, parente, conoscente, o estraneo appena incontrato per strada, a dare la sua preferenza ad uno dei due candidati. E’ il ground game: la gigantesca macchina del consenso, fatta di migliaia e migliaia di funzionari e volontari, che da mesi presidia gli stati in bilico cercando di spremerli fino all’ultimo voto.

Molti hanno già votato in anticipo, un elettore su tre secondo le stime. Ma nell’ultima settimana c’è stato un elettore che ha messo la sua crocetta pur senza avere la cittadinanza: non ha un cognome, né ha una data di nascita precisa, lo chiamano semplicemente Sandyl’uragano mostro.
E’ arrivato sulle coste americane lunedì scorso, era atteso, ma nessuno sapeva con certezza per chi avrebbe votato. Adesso lo sappiamo: è bastato guardare i primi sondaggi dopo il black out per capire che a trarre vantaggio dall’arrivo di Sandy è stato Obama. Un attimo prima di rimettersi a fare campagna elettorale (e a parlare dell’alto e nobile concetto del “voto come vendetta”) il presidente si è fatto un giro in scarpe da ginnastica davanti a tutte le telecamere piazzate tra le macerie dello stato del New Jersey (seguito da un Chris Christie a dir poco scodinzolante al quale molti repubblicani l'hanno già giurata) impersonando a meraviglia la figura del comandante in capo.

Ha funzionato: una settimana fa Romney conduceva la media RCP con circa un punto di vantaggio, era sopra di 2 punti (49 a 47) per Rasmussen, di 5 (51 a 46) per Gallup e anche altre “firme” poco amiche gli concedevano numeri migliori di quelli del presidente.
Alla vigilia dell’election day Obama ha riguadagnato la testa della media RCP, che aveva occupato solo per tre giorni dopo il primo dibattito, e malgrado la differenza sia di pochi decimali è abbastanza per leggerci una tendenza.
Sette degli ultimi otto sondaggi nazionali lo danno alla pari o avanti di un punto, quindi la gara resta aperta, ma il momentum che gonfiava le vele di Romney fin dalla sera del dibattito di Denver è stato interrotto. E, come succede nei match di tennis, quando la pioggia interrompe il gioco spesso se ne avvantaggia chi era in difesa.

Per confondere ulteriormente le acque sul fronte dei sondaggi statali sta succedendo di tutto.
Pochi giorni fa il team di Romney ha annunciato di voler “espandere la mappa”, attaccando stati come il Minnesota, il Michigan e la Pennsylvania e nel giro di poche ore sono saltati fuori sondaggi che danno l'ex governatore alla pari nel Keystone State e addirittura in testa nel Michigan. Se siano la causa o la conseguenza della strategia di Romney è difficile dirlo.
E' probabile che il match si decida altrove (in Ohio e Wisconsin soprattutto), ma se oggi Bill Clinton farà tappa in Pennsylvania vuol dire che nessuno è sicuro di niente.

A questo punto più che continuare a farci stordire dal rumore statistico che ci circonda è meglio mettere qualche punto fermo:
L’elezione di domani si giocherà sull'affluenza (tourout). La disorientante diversità dei numeri che abbiamo visto e continuiamo a vedere dipende nove volte su dieci dal modo in cui il sondaggista di turno “cucina” il suo sample (se ne è parlato qui). Molti pollster stanno assumendo che l’elettorato 2012 sarà composto da una maggioranza relativa di democratici, con un margine che oscilla da un +2/+3 di Rasmussen fino al +6 di Pew Research.
Pochi giorni fa Gallup ha invece previsto (nascondendolo in fondo alla tabella) che quest’anno su 100 votanti 36 saranno repubblicani e 35 democratici.

Veniamo da cicli elettorali molto diversi tra loro: nel 2004 i due elettorati chiusero alla pari (37 a 37 secondo l'exit poll della CNN). Nel 2008, al culmine del discredito dell’amministrazione Bush per la crisi finanziaria, i democratici scavarono un solco di ben 7 punti (39 a 32). Appena due anni dopo, nel 2010, l’ondata del Tea Party invertì di nuovo la tendenza.
Nessuno sa con certezza dove si collocherà il 2012 tra questi estremi e, a seconda che un sondaggista prenda una strada oppure l’altra, dai numeri saltano fuori universi paralleli che a malapena si somigliano. Solo martedì notte capiremo in quale di questi viva oggi l’America, anche se onestamente nessuno dei due campi oggi ricorda quello del 2008 e i numeri dell'early voting lo confermano.

Romney è dato davanti tra gli indipendenti (circa il 25-30% dell’elettorato) e ha il vantaggio dell’entusiasmo: chi ha assistito ai suoi rally degli ultimi giorni in ColoradoOhio e ieri sera in Pennsylvania ha visto una base repubblicana che raramente è stata così “calda”.
Se il tournout dei repubblicani riuscirà a pareggiare quello dei democratici vincere tra gli indipendenti sarà la chiave della porta d'ingresso alla Casa Bianca.

Domani questo blog sarà “aperto” tutta la notte con aggiornamenti in tempo reale. E dopo tante cifre virtuali sarà la volta dei numeri veri.


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